Siamo con il Prof. Andrea Segrè, ideatore insieme ad Oscar Farinetti di F.I.CO – Fabbrica Italiana Contadina – che risponderà alle domande della nostra redazione e di alcuni dei nostri food blogger:

1) Qual è l’episodio che ha dato vita alla sua passione per il cibo?

Quando alla fine degli anni 90 visitando una serie di ipermercati per capire le dinamiche che portano al posizionamento sui diversi ripiani dei prodotti, “dietro le quinte” mi sono trovato di fronte ad alcuni generi alimentari in via di scadenza ma ancora buoni e ho scoperto che sarebbero stati “scartati” e non messi in vendita. Quindi sprecati.
Lì, in quella situazione ho capito che si doveva fare qualcosa, si doveva dare valore al cibo.

2) Se dovesse portare a cena un amico straniero che per la prima volta viene in Italia, quale piatto tipico gli consiglierebbe?

Se lo dovessi invitare a cena a casa mia preparerei un cous cous alle verdure. Se invece dovessi portarlo fuori a pranzo qui a Bologna, dove vivo, consiglierei i tortellini in brodo senza formaggio.

3) A suo avviso, quale prodotto Made in Italy non è ancora sufficientemente conosciuto all’estero?

Tutti e nessuno. All’estero l’italian sounding produce ogni giorno prodotti che non sono italiani.
Ci lamentiamo di questo fenomeno, ma siamo un po’ tutti colpevoli.
Il vero problema è far conoscere all’estero i nostri prodotti. La grande distribuzione italiana dovrebbe avere la forza di riuscire ad andare all’estero con i veri prodotti italiani.

4) Riguardo al fenomeno dell’Italian Sounding, quali potrebbero essere secondo lei le soluzioni per “combatterlo”?

Il nostro paese ha delle enormi potenzialità. Nel 2013 il valore dell’export dei prodotti agroalimentari Made in Italy ha raggiunto i 33 miliardi di euro ma l’agropirateria ogni anno raggiunge quasi il doppio. Se poi pensiamo che un paese come l’Olanda esporta il doppio dell’italia, ci rendiamo conto che sbagliamo a lamentarci. Ci “rubano” i prodotti ma in realtà non siamo effettivamente in grado di esportarli. Noi dobbiamo fare massa critica, anche e soprattutto attraverso la grande distribuzione, che è un po’ ciò che ha fatto Farinetti con Eataly.

Le domande delle nostre food blogger Alessandra Chiara, Alida Zamparini e Jessica Montanari.

5) L’acquisizione di aziende italiane da parte di grandi holding estere è un fenomeno purtroppo noto, che non risparmia nessun settore economico tantomeno quello dello del food. Secondo lei, cosa deve fare il Made in Italy per difendersi e per dare voce alla qualità che questo marchio dovrebbe esprimere? (Alessandra Chiara)

Ormai abbiamo perso tanti treni. Se uno va a fare la spesa si rende subito conto che i nostri grandi marchi sono tutti stati acquisiti da mutinazionali straniere.
In questo senso sono state fatte delle scelte senza preservare il nostro patrimonio, senza pensare che rappresenta forza lavoro, economia.
Tornare indietro a queste condizioni appare difficile.
In un contento di crisi come quello attuale, la grande distrubuzione non ha neache più modo di fare grandi investimenti. A questo punto, dovrebbe essere il ministero delle politiche agricole a prendere seriamente in considerazione l’internazionalizzazione dell’agroalimentare. Sì, qualcosa sta facendo ma, come dicevo prima, dobbiamo fare massa critica.

6) Come è nata l’idea di F.I.CO e quali sono le aspettative riposte in questo grande progetto definito da alcuni la Disneyland del cibo? (Alessandra Chiara)

L’idea nasce dal Centro Agroalimentare di Bologna, di cui attualmente sono Presidente, e dalla necessità di rilanciare questo spazio. L’idea era appunto quella di costituire nello spazio del mercato un parco agroalimentare dal campo alla tavola, un approccio di filiera.
Per farvi comprendere al meglio vi riporto un esempio: nel parco agroalimenatre ci sarà un campo di 500mq di grano duro che sarà coltivato con la rotazione, un mulino in quarta che trasforma il grano in farina, un pastificio e un ristorante dove verrà servito il prodotto finito. Per realizzare tutto questo avevamo bisogno di 1 partner, l’ideale era proprio Eatly che ha accettato la sfida.
E’ un progetto unico che ha trovato in meno di 100 giorni la sostenibilità. Noi vogliamo aprire da novembre 2015, proprio in chiusura dell’Expo. Anche questa è una sfida ma ce la metteremo tutta.

7)Pensa che F.I.CO possa aiutare a creare all’estero una nuova immagine di un’Italia contemporanea dal punto di vista alimentare ed etico, promuovendo il cibo italiano come qualita’ con un ritorno alla naturalità e portare ad un conseguente aumento delle esportazioni di generi alimentari? (Alida Zamparini)

Questo è assolutamente l’obiettivo. Crere vetrina toccabile, tastabile, concreta. Il successo di F.I.CO dipenderà dai visitatori, mentre il successo dell’esportazione dipenderà da quello che dicevo prima.
Si chiamerà Eatly Word Bologna, promuovendo così anche la stessa città. Bologna è il cibo! E’ una storia lunga almeno 900 anni di Università e di ricette provenienti dalla nostra terra.
Non dobbiamo inventarci un brand. Se Orlando è famosa per Disneland, Bologna non sarà conosciuta per F.I.CO, ma perchè rappresenta ampiamente da sè la cucina italiana.

8)Solo nel primo anno saranno attesi a F.I.CO più di sei milioni di visitatori, sfruttando la coda dell’Expo di Milano. Come si cercano investitori per un progetto del genere? (Jessica Montanari)

Intanto ci tengo a precisare che i 6 milioni di visitatori son la media di un centro commerciale e sarà proprio il mix di queste entrate che farà il successo.
In questo modo abbiamo cercato gli investitori, garantendo un progetto semplice, ma unico.

9) L’attenzione agli sprechi e la passione per la qualità dei prodotti italiani ha sicuramente suggellato la sinergia tra lei e Oscar Farinetti. Vi unisce una visione comune? (Jessica Montanari)

Lui è un imprenditore, io sono professore. Veniamo evidentemente da approcci diversi, ma la nostra intesa nasce dalla valorizzazione del cibo. Io sono anni che faccio prevenzione allo spreco del cibo: la nostra società è in crisi e spreca tanto; ciò significa che abbiamo perso il valore del cibo. Spediamo meno per la nostra alimentazione, senza riflettere sul fatto che molto spesso ne va della nostra salute. Farinetti, proprio per la sua professione, dà valore economico al Cibo e allo stesso tempo alla filiera alimentare. Proprio questo era il passaggio che mi mancava per poter realizzare F.I.CO.

Photo credits Roberto Serra