Nell’area del reggiano, il consumo della polenta cominciò a diffondersi a fine ‘700, quando il mais, importato dalle Americhe ed introdotto a coltivazione solo nel 1600, divenne la coltura preponderante accanto al riso nelle fertili pianure emiliane e lombarde.
Come ancora oggi gli anziani ricordano, fino agli anni ’50 del 1900 la polenta era consumata quasi quotidianamente dalla gente delle campagne, perché “riempiva la pancia” senza incidere sul già scarso bilancio familiare. La si consumava sin dalla colazione, unita a latte e zucchero, ma anche a pranzo o a cena in combinazione a formaggi, salumi e, quando ce n’era, carne.

Nel caso dei Cazzagai, la polenta è unita a fagioli soffritti con cipolla e pomodoro. Si può consumare calda ma, tradizionalmente, la si lascia raffreddare per poi ricavarne fette spesse che vengono fritte in padella, in modo che si formi una crosta croccante. L’etimologia del nome Cazzagai (calza gatti), risale alla leggenda sulla nascita di questa ricetta. Si dice infatti che una sera, una rezdora stesse riscaldando dei fagioli in umido sulla stufa a legna.
Nel portarli in tavola però inciampò nel gatto, appisolato ai piedi della stufa, e l’intero contenuto della teglia si rovesciò nel paiolo della polenta, che cuoceva nel caminetto. La rezdora fu così costretta a scegliere se saltare la cena o tentare la sorte servendo il tutto così com’era: la fame prevalse e questa polenta rivisitata riscosse un enorme successo tra i commensali, che ne decantarono la bontà a parenti ed amici.

In questo modo, la ricetta frutto dell’errore della rezdora si diffuse, trasmessa di bocca in bocca, tra le campagne reggiane giungendo inalterata fino ai nostri giorni.