Per Palermo si avvicina l’evento più importante in assoluto, la Festa per eccellenza, un momento che unisce tutti, l’unione tra sacro e profano, tra devozione e divertimento, il concentrato della vera palermitanità: insomma il mitico Festino dedicato a Santa Rosalia, la “Santuzza” protettrice di Palermo.Il Festino, malgrado il suo nome che sembra quasi un vezzeggiativo, è veramente una festa in grande, alla quale nessun Palermitano rinuncerebbe, nemmeno adesso che c’è la crisi, anzi a maggior ragione, perchè la Santa potrebbe intercedere per lenire gli effetti di questa nuova piaga, come fece durante la peste, ma a ben guardare la situazione odierna di Palermo e della Sicilia, la “santuzza” avrebbe proprio un bel da fare, forse un compito più arduo che lo sgominare la peste del 1624.

A Palermo la santa si festeggia dal 1625, nessuno riusciva a sconfiggere la Grande Peste, né la scienza dell’epoca, né i santi fino ad allora chiamati in causa, quando accadde che al saponaro Vincenzo Bonello, a cui era morta la giovane moglie, fuggito di notte in preda alla disperazione verso il Monte Pellegrino, apparve Rosalia, una eremita di nobili origini, vissuta intorno al 1100 (morta il 4 settembre del 1160), che gli indicava dove trovare le proprie spoglie (nella grotta dove adesso c’è il suggestivo santuario dedicato alla santa), e gli chiedeva di portarle in processione per Palermo per fare cessare la peste. Tale operazione ebbe risultati positivi, la peste finì e da allora Palermo ogni anno dal 10 al 15 luglio festeggia la propria protettrice con grande fastosità.

Cominciò ben presto la tradizione dell’allestimento di un carro maggiore a forma di vascello e altri carri minori, che con figure allegoriche mostrano la sconfitta della peste, simbolo del bene che trionfa sul male. Ogni anno c’è sempre una grande attesa del nuovo carro, degli spettacoli che accompagnano l’evento, della processione durante la quale è di fondamentale importanza che il Sindaco della Città urli: “Viva Palermo e Viva Santa Rosalia” (gli si perdonerebbe tutto, ma non l’assenza di questo slogan) e soprattutto dei “giochi di fuoco”, dove si raggiunge l’apice della festa in tutte le sue espressioni più folkloristiche.

I festeggiamenti cominciano già dal 10 luglio. Al Foro italico, noto lungomare palermitano, vengono allestite bancarelle decorate con le immagini tipiche dei carretti siciliani, e in tutto il percorso della processione vengono poste delle splendide luminarie (l’archi).
Il giorno più atteso, il 14 Luglio, comincia la processione, che si trasforma in un vero e proprio spettacolo teatrale, con musica e danze. Parte dalla Cattedrale, attraversa i Quattro Canti e tutto il Cassaro fino ad arrivare al Foro italico dove il tripudio sarà dato dagli spettacolari giochi d’artificio che durano un’ ora circa, lasciando tutto il pubblico senza fiato.

Mi è capitato alcune volte di partecipare a questo evento. L’impatto è incredibile, una marea umana si riversa direttamente al Foro italico, tutta la città è bloccata, le macchine vengono lasciate persino a centro strada, sembra un esodo, migliaia di persone compresse tra loro cercano di raggiungere uno spazio da cui vedere bene i fuochi d’artificio e durante l’attesa si dilettano a mangiare tutto ciò che di più tradizionale si possa trovare nelle tantissime bancarelle, perchè a Palermo ogni occasione è buona per premiare lo stomaco.

In primo luogo nessuno rinuncerebbe a mangiare la “calia e semenza”: lo svago preferito dai Palermitani. Dal semenzaro si acquista un “coppitello” (un contenitore creato avvolgendo della carta su se stessa) riempito di ceci abbrustoliti e semi di zucca con sale, e si comincia a sgranocchiarli e a lanciare le bucce per terra.
I semenzari vendono anche altre delizie e la scelta per i golosi è vasta: pistacchi, arachidi, noccioline, cruzziteddi (castagne), luppini (lupini bolliti), fave, etc. Oltre a tutte queste cibarie anche dette “u scaccio”, ovvero delle leccornie che non rappresentano un vero e proprio mangiare ma piùttosto un passatempo, ci sono gli immancabili sfincionelli, pane panelle e crocchè, panino con milza, salsiccia arrostita, stigghiole, polpo vugghiutu, ricci ed infiniti dolciumi, dal gelato a tutta una serie di “dolci da strada” venduti nelle enormi e decorate bancarelle dei “caramellari”.
Una varietà di dolciumi a base di zucchero caramellato e vari ingredienti quali i semi di “cimino” (sesamo), mandorle, nocciole, bomboloni di zucchero e cannella, la cubarda (dolce di zucchero duro venduto a tocchetti), il gelato di campagna (un dolce di zucchero, pistacchio ed essenza di fragola, dal colore verde, bianco e rosso, che riecheggia il famoso gelato chiamato giardinetto inventato per l’arrivo di Garibaldi). La frutta più adatta per l’evento è “u muluni” (l’anguria), da mangiare afferrandone le fette con le mani, sbrodolandosi fino ai gomiti, “lavandosi” tutta la faccia comprese le orecchie ed ovviamente sputando in aria i semini neri.

Ma la specialità più tipica del giorno, quella che è un perfetto intreccio tra il mangiare e il passatempo, quella a cui i veri palermitani non rinuncerebbero mai per festeggiare la Santuzza, sono i “babbaluci” (lumache condite con olio, prezzemolo e aglio): vengono vendute in ceste, servite in piattini di plastica e consumate con tanto di “scrusciu” (rumore dato dal necessario risucchio) e immancabile lancio delle chiocciole con tanta soddisfazione per i cultori di questa sorta di ritualità gastronomica.

L’immagine più affascinante che si può godere partecipando a questo evento è quella di una serie di tavolini imbanditi nei luoghi più stravaganti, perchè per godere dei giochi di fuoco sgranocchiando tutto ciò sopraelencato, bisogna trovare un posto d’onore, una sorta di trono rialzato, per non trovare, come capita al cinema, qualcuno più alto che impedisca di godere dello spettacolo. Non tutti possono permettersi un posto sulle meravigliose terrazze di Palazzo Butera o di altri palazzi nobiliari, dove solo l’elite palermitana può accedere, però l’ingegno è concesso anche al così detto “popolino” a cui è permesso di imbandire i propri tavoli sulle motoapi, su furgoncini , camion e tutto ciò che possa garantire un’ ottima visione.

Durante il festino oltre al cibo, si trova anche l’occasione per incontrarsi, per innamorarsi, anche soprattutto per litigare. Si invoca la Santa e si attende una grazia. Si beve vino, si gioca a carte, si urla, si chiacchiera e soprattutto si getta ogni rifiuto per terra…
Poi finalmente arriva il momento più atteso: i “botti”, i fuochi d’artificio. Diverse ditte si sfidano tra loro, è una magia di colori, di rumori assordanti, di cuori che battono all’impazzata, di sguardi fissi al cielo; improvvisamente il vocio della gente si ferma del tutto, per ascoltare un frastuono quasi assordante, l’emozione è palpabile, grandi e bambini sono accomunati da un senso di meraviglia, un momento di tensione e di scarica elettrica, forse per un istante si dimenticano le tragedie quotidiane, la disoccupazione, la miseria, l’assenza di case, le vessazioni, le liti familiari, fino alla “masculiata”, che è il momento di maggiore intensità dei botti, e poi un istante di silenzio assordante, ma tutti sanno che ci sarà un ultimo fortissimo tuono, e poi l’abbandono in un applauso liberatorio, la festa è finita e la vita ricomincia.