Durante le nostre attività 100per100 Italian in Paris, abbiamo incontrato e intervistato Giovanni Passerini, recentemente premiato come Miglior Chef di Francia. Ecco a voi l’intervista rilasciata per gli amici di I Love Italian Food.

1) Tre parole per presentarti.
Agitato
Esigente
Appassionato

2) Che cosa significa per te essere uno Chef italiano all’estero?
La nazionalità italiana mi permette di dare un’identità differente alla mia cucina. Appartengo al cosiddetto movimento della “bistronomie” che si è talmente sviluppato da rendere necessaria una differenziazione al suo interno. Avendo molti fornitori in comune, usando esclusivamente prodotti di stagione e venendo dagli stessi ristoranti scuola il rischio di assomigliarsi molto gli uni con gli altri esiste. Andare a cercare abbinamenti e cotture tipiche della mia regione mi ha così permesso di marcare un po’ la mia identità.

3) Qual è la ricetta italiana che più ti rappresenta?
Senza dubbio la pasta ripiena, in tutte le sue forme. Per riuscire al meglio occorre fare un vero lavoro sulle farce, mia autentica fissazione. Ogni farcia è propria a una determinata forma di pasta, alla miscela giusta di farine dell’impasto e ad uno spessore che si adatti ad essa. La farcia deve essere il perno del piatto, intorno ad essa si costruisce il resto.

4) I tre prodotti Made in Italy indispensabili per la tua cucina?
La farina di grano duro biologica di varietà antiche
Olio di oliva 
Acciughe di Cetara e colatura 

5) Relativamente al fenomeno “Italian Sounding”, quali potrebbero essere secondo te le soluzioni per combatterlo?
Non mi preoccupa più di tanto, sono convinto che la grande qualità dei produttori seri e appassionati sta trovando e troverà sempre più spazio nella ristorazione e nella distribuzione di alta gamma. 
I prodotti veri e quelli legalmente falsificati si rivolgono a pubblici radicalmente diversi, pertanto basterà mantenere un buon livello di comunicazione, un alto standard qualitativo e la più totale trasparenza per poter dormire sonni tranquilli.

6) Il tuo ristorante omonimo è stato definito “la rivoluzione francese”. Qual è il
concept alla base di questo progetto?

È senza dubbio un’esagerazione (ride, ndr) ho semplicemente voluto fare un grande ritorno alla carta, abbandonando il menù fisso, che tanto si è diffuso nella capitale fino a stancare un po’ i parigini. Inoltre proponiamo una vasta scelta di piatti da condividere: un’anatra intera, un cosciotto di agnello arrostito sull’osso, un rombo da due chili al forno per 4 o 6 persone, che arrivano al tavolo accompagnati da semplici verdure, da un gratin, da un’insalata di erbe. Non abbiamo inventato niente, abbiamo semplicemente aperto un posto dove ci piacerebbe andare non solo a cena, ma anche a passare una serata. Perché il cibo è importante ma non deve prendere troppo posto nel contesto di un pasto. 

7)Come è considerato il mondo della pasta fresca italiana dai francesi?
Lo stanno scoprendo con entusiasmo e la curiosità che distingue i francesi in merito al cibo, soprattutto quello italiano. Purtroppo in Italia esiste il falso mito del francese che non ci ama, che ci guarda dall’alto. Niente di più falso: i cugini transalpini amano la nostra cultura, il nostro paese e la nostra cucina. Tifano persino per la squadra azzurra quando non giochiamo contro di loro! 

8)Qual è il tuo segreto per far apprezzare ai francesi i piatti tipici della trattoria
italiana?

Prepararli con rigore e rispetto della tradizione. Si divorano la mia trippa alla romana, che sta diventando il piatto intoccabile nella mia carta. Si tratta di una preparazione lunga che quando è ben eseguita permette anche a chi non ama la trippa di farsi piacere. Anche la gricia ( a cui aggiungo semplicemente qualche foglia di menta fresca ) riscuote molto successo